Quando è possibile chiedere all’ex coniuge la quota del TFR?
E’ bene ricordare che la comunione di intenti e di sostanze creata da un vincolo di coniugo riverbera le sue conseguenze anche nel momento della cd.liquidazione.
Sia chiaro: non tutto quanto dovuto al lavoratore subordinato per la cessazione del rapporto impiegatizio deve dividersi col precedente coniuge, ma anzi, devono sussistere determinati presupposti.
Al beneficiario la Legge sul Divorzio richiede la percezione di un assegno divorzile a cadenza periodica, e la concomitante presenza di uno stato di nubilato o celibato.
Insomma, chi si è risposato e non ha diritto all’assegno oppure è stato liquidato in un’unica soluzione, non può ottenere parte del TFR in concorso con il coniuge superstite.
La quota ammonta al 40% netto del trattamento di fine rapporto, ma va ragguagliata alla durata del matrimonio coincidente col periodo di lavoro. In questa parentesi rientra anche il tempo della separazione.
Se il TRF è maturato prima, la quota spettante sarà stabilita con la sentenza di divorzio.
Ma se il rapporto di lavoro non si è ancora esaurito, è possibile chiederne un’anticipazione?
Sull’argomento è intervenuta la giurisprudenza di merito, fornendo una risposta negativa.
Alla richiesta di una moglie, volta a percepire la quota del TFR del marito in pendenza del suo rapporto di lavoro, è stato replicato che “E’ al momento della “maturazione” dell’indennità di TFR, e cioè quando il relativo diritto diventi certo ed esigibile, cui va fatto riferimento per verificare la sussistenza dei presupposti di legge per la determinazione e quindi l’attribuzione (in relazione agli anni di matrimonio) della esatta somma spettante al coniuge titolare di assegno divorzile. Ogni domanda antecedente quel momento deve ritenersi, pertanto, inammissibile”.