Le norme sulla successione prevedono a favore del coniuge superstite il diritto di abitare nella casa adibita a residenza familiare, nonché l’uso dei mobili che la corredano.
Questo a prescindere dalla presenza di altri chiamati all’eredità,e dall’esistenza o meno di un testamento.
Tale riserva trova la sua ragione di fondo nella tutela del superstite e nella stabilità delle sue abitudini di vita. E’ ben comprensibile quale turbamento psicologico, e non solo, comporterebbe un cambio forzoso della comune dimora susseguente al decesso del coniuge.
Ecco perché il fulcro della passata vita domestica viene preservato, non tanto per l’interesse economico alla disponibilità di un alloggio, ma proprio per i rapporti affettivi e consuetudinari che quella dimora, e non altre, conserva agli occhi di chi proseguirà la sua esistenza senza il compagno o la compagna di una vita.
Sempre in tema di successioni, i diritti spettanti per legge al coniuge separato senza addebito vengono equiparati a quelli del coniuge non separato.
E allora, il diritto di abitazione nella casa familiare spetta anche in caso di separazione in caso di decesso dell’altro coniuge?
No, almeno secondo la Cassazione, che ha recentemente delineato l’ampiezza dell’istituto proprio sulla base di quel presupposto oggettivo cui si accennava poc’anzi.
Il caso vedeva una moglie separata, senza addebito, reclamare il diritto di abitazione sull’ex casa coniugale, benché prima dell’apertura della successione del marito si fosse trasferita altrove.
I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso, aderendo a quell’orientamento dottrinale che, in caso di separazione personale e cessazione di convivenza, ritiene oggettivamente impossibile individuare nella dimora del coniuge passato a miglior vita la “casa adibita a residenza familiare”.