È, in buona sostanza, il succo di una decisione del tribunale di Milano (sentenza 15 luglio 2015) con la quale, partendo da quanto sancito da cass. sentenza 1 luglio 2015 n. 13506, si pongono in atto, per così dire, degli avvertimenti ai genitori che rifiutano di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità.
Questi i termini della questione. La cassazione, con la sentenza citata, aveva stabilito il divieto per il giudice di imporre ai genitori “di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme – in quanto lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari“.
Prendendo le mosse da questa recente decisione della Suprema Corte, che privilegia la libera autodeterminazione, il tribunale di Milano ha, prima di tutto, ribadito il principio per il quale il giudice mantiene comunque il potere di “disporre percorsi di supporto anche di tipo psicologico e terapeutico per il minore quando ritenuti necessari a tutela del percorso di sana crescita del minore stesso“; per affermare poi che, nell’ambito di tale potere, deve ricomprendersi anche quello di inviare i genitori, od uno di essi, ad intraprendere il percorso psicoterapeutico.
Naturalmente, alla luce della sentenza della cassazione, l’invito potrà essere disatteso dai destinatari ma, in tale ipotesi, la libera condotta dei genitori, o del genitore renitente, potrà essere valutata dal giudice del merito come comportamento pregiudizievole per il figlio, come si ricava inequivocabilmente, afferma il tribunale di Milano, dalle disposizioni di cui all’art. 337ter c.c e 333 c.c.
In conclusione: liberi, i genitori, di rifiutare l’invito giudiziale ma, attenzione: il rifiuto potrà avere un (pesante) riflesso negativo sulla valutazione della loro capacità genitoriale.