Con una recentissima sentenza (novembre 2013), la Corte Costituzionale è intervenuta in materia di adozione introducendo una importante novità nei rapporti tra l’adottato e la madre biologica.
La madre, al momento del parto, può manifestare la volontà di non essere nominata nella dichiarazione di nascita, così prevede l’art.28 della legge 184/1983. In tal caso la madre non riconosce il figlio. La norma è diretta a tutelare la riservatezza della madre.
Tuttavia andava a discapito della tutela del figlio. Infatti il diritto della madre di mantenere il segreto sulla propria identità si scontrava inevitabilmente con il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e la storia della sua famiglia, diritto che, come più volte enunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, deve essere ricondotto al generale principio costituzionale di tutela della persona.
Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, per garantire il diritto dell’individuo alla propria identità personale e familiare, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’articolo 28 della legge del 1983 nella parte in cui non prevedeva la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio, di interpellare la madre per veder revocata la dichiarazione con la quale la stessa esprimeva la volontà di non essere nominata.
Secondo la Corte, una volta scelta la strada dell’anonimato la manifestazione di volontà assumeva, secondo la norma dichiarata incostituzionale, i “connotati di irreversibilità destinati, sostanzialmente, ad “espropriare” la persona titolare del diritto da qualsiasi ulteriore opzione”.
Ciò contrasta con la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, producendo inevitabilmente effetti incidenti sulla cd. “genitorialità naturale”, traducendosi in un vero e proprio divieto che preclude qualsiasi possibilità di relazione tra la madre e figlio.