Nel nostro ordinamento esiste un principio di carattere generale secondo il quale il minore deve essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano; tale principio è consacrato nell’art. 315 bis c.c., mentre l’art. 336 bis c.c. disciplina le modalità di ascolto.
L’ascolto del minore non è dunque una mera facoltà del giudice bensì un adempimento necessario in tutte le procedure giudiziarie riguardanti il minore stesso, quali quelle relative all’affidamento e alla scelta della sua dimora abituale.
Ciò non significa che il giudice debba sempre, ed incondizionatamente, disporre l’ascolto del minore. Il potere discrezionale del giudice dovrà tenere conto dell’interesse del minore medesimo e comunque dovrà essere motivato.
Il principio di cui si parla è stato, da tempo, affermato in numerose norme sovranazionali.
La Convenzione di New York del 1989 (l. n. 176/1991), che ha affermato il diritto del fanciullo, capace di discernimento, di esprimere la propria opinione su qualsiasi questione lo riguardi.
La Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei minori adottata a Strasburgo il 26 gennaio 1996 che ha previsto il dovere dell’autorità giudiziaria di assicurarsi che il minore capace di sufficiente discernimento abbia ricevuto nei procedimenti che lo riguardano le informazioni pertinenti e, nei casi che lo richiedano, che sia stato consultato personalmente tenendo in debito conto l’opinione dallo stesso espressa.
L’art. 24 della Carta di Nizza, proclamata il 7 dicembre del 2000, che sancisce il diritto dei bambini ad esprimere liberamente la propria opinione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.
Le linee guida adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di bambino, il 17 novembre 2010, che evidenziano il principio secondo cui i minori hanno il diritto di esprimere la propria opinione e il loro punto di vista su ogni questione che li riguardi.
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che l’audizione del minore è un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che lo riguardano e, in particolare, in quelle relative all’affidamento ai genitori, salvo che tale adempimento possa essere in contrasto con gli interessi del minore stesso (Cass. civ., S.U., 21 ottobre 1999, n. 22238; Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2011, n. 13241; Cass. civ., sez. I, 11 agosto 2011, n. 17201;. Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2015, n. 6129)
Il mancato il mancato ascolto non sorretto da una espressa motivazione sulla contrarietà all’interesse del minore stesso, sulla sua superfluità o sulla assenza di discernimento del soggetto interessato è fonte di nullità della sentenza, in quanto si traduce in una violazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio (Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2012 n. 7452; Cass. civ., sez. I, 15 marzo 2013, n. 11687; Cass. civ., sez. I, 24 dicembre 2013, n. 28645; Cass. civ., sez. I, 29 settembre 2015, n. 19327).
L’ascolto serve a dare voce ai desideri dei figli, ma anche a comprendere se tali desideri siano frutto di scelte consapevoli e mature o siano invece derivanti da pressioni esterne e, in ogni caso, il giudice deve valutare se la soddisfazione dei desideri espressi dai minori corrisponda davvero al loro interesse.
Circa le modalità da adottare per l’ascolto del minore queste potranno essere le più varie ma sempre nel pieno rispetto della sensibilità del minore. È stato ritenuto, da taluni giudici, che l’ascolto avvenga tramite un esperto psicologo, che non si limiti al contenuto di quanto essi minori riferiranno, ma ne esamini i reali bisogni, in una prospettiva di corretta crescita.
Avv. Luigi Cecchini.