La scienza giuridica considera come obiettivamente e univocamente “sessuali” quegli atti di contatto fisico, al nudo o meno, relativi alle zone erogene dell’altrui o proprio corpo (pubiche, genitali, orali, ecc.).
Nel nostro codice penale vige un compromesso fra il principio dell’intangibilità e libertà sessuale del minore che non abbia ancora compiuto quattordici o sedici anni, ed una deroga che concerne gli atti sessuali fra minorenni purché privi di abusi, violenza o inganno, ovvero consenzienti e con una differenza di età non superiore a tre anni se tredicenni.
Nei primi casi, gli unici perseguibili, viene preservata l’integrità sessuale della vittima, con età elevata sino a sedici anni in particolari casi di debolezza o soggezione, quali la convivenza, rapporti di parentela, tutorato, istruzione, vigilanza o custodia.
Superata questa soglia anagrafica, permane l’ipotesi delittuosa se questi ultimi soggetti abbiano comunque intrattenuto rapporti sessuali con le vittime abusando della propria posizione. Viene cosi tutelata la libertà sessuale del minore.
Il codice punisce tali abusi con la medesima pena prevista per la violenza sessuale (reclusione da cinque a dieci anni), mitigata a seconda del caso concreto.
La Cassazione si è recentemente pronunciata sull’argomento, ritenendo sussistente il reato di abuso sessuale a carico di un educatore, che durante la propria attività aveva toccato fugacemente le parti intime dei bambini nella camera da letto dei genitori, mentre gli stessi erano in altra stanza dell’abitazione.
La ricostruzione criminosa e non meramente ludologica dell’accaduto si è basata proprio sulle dichiarazioni dei minori, ritenute attendibili e prive di ritorsione, connotate da ritrosia e sofferenza nella descrizione degli abusi e delle successive minacce dell’educatore, volte ad ottenere l’omertà sull’episodio.