Nessun diritto al risarcimento se la donna non prova che avrebbe abortito

Nessun diritto al risarcimento se la donna non prova che avrebbe abortito, se avesse conosciuto le malformazioni del feto.

È quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 22 dicembre 2015.

Il giudice di legittimità era stato chiamato a pronunciarsi in una caso che vedeva opposta una madre al suo ginecologo, inadempiente all’obbligo di corretta informazione circa le malformazioni (nel caso di specie sindrome Down) del feto.

La cassazione esclude che nel nostro ordinamento esista un diritto del minore a non nascere o a nascere sano, sussistendo, semmai, la responsabilità professionale, ed il conseguente obbligo risarcitorio, solo qualora la madre provi, anche per presunzioni, che, se posta a conoscenza dei rischi di gravi malformazioni del feto, avrebbe optato per la scelta abortiva prevista dalla legge 194.

 

Hai bisogno di una consulenza legale?

Non esitare a contattarci, insieme troveremo la soluzione migliore per tutelare i tuoi diritti e quelli della tua famiglia.

 

Ma come è possibile provare che la madre, debitamente informata, avrebbe scelto di abortire?

La cassazione ammette che si tratta di una prova molto difficile, trattandosi di provare, a posteriori, uno stato dell’animo. Le SU dettano però una serie di elementi da tenere presenti in caso di giudizio. Più nel dettaglio: il ricorso al consulto medico per conoscere le condizioni di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante, le pregresse manifestazioni di pensiero sintomatiche di una propensione per la scelta abortiva in caso di gravi malformazioni del feto.

In conclusione: in difetto di prova del fatto che la madre, se informata della salute del feto, avrebbe scelto di abortire e in difetto dei presupposti previsti dalla legge 194 per interrompere la gravidanza, il medico responsabile della omessa diagnosi andrà assolto da ogni addebito e non sarà tenuto a risarcire il danno.