L’assegnazione dell’animale domestico nella separazione dei coniugi

In mancanza di accordo tra i coniugi, il giudice della separazione può disporre l’assegnazione dell’animale domestico, in via esclusiva alla parte che assicuri il miglior sviluppo possibile dell’identità del cane o del gatto, oppure in via alternata a entrambi i coniugi, a prescindere dall’eventuale intestazione risultante dal microchip, tenendo conto del benessere dell’animale stesso, e regolamentare gli aspetti economici (spese veterinarie e straordinarie) legati alla sua cura e al suo mantenimento.
Trib. Sciacca, decr. 19 febbraio 2019

Il provvedimento in esame si colloca nella scia di altre tre pronunce emesse dalla giurisprudenza di merito degli ultimi con cui è stata regolamentata, nell’ambito di giudizi di separazione personale dei coniugi, in mancanza di accordo tra di essi, la gestione dell’animale domestico, sia sotto il profilo relazionale, sia sotto il profilo economico.
Il tribunale ha espresso due principi: innanzitutto, si afferma che “il sentimento per gli animali costituisce un valore meritevole di tutela, anche in relazione al benessere dell’animale stesso” e, in secondo luogo, si indica il criterio che deve guidare il giudicante nella scelta del regime di assegnazione dell’animale (se esclusivo a favore di uno solo dei coniugi o alternato tra di essi), chiarendo che deve essere preferita la parte che assicuri il “miglior sviluppo dell’identità dell’animale stesso”.

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Tuttavia, è opportuno precisare che l’orientamento prevalente dei giudici di merito ritiene che la domanda di affidamento dell’animale domestico sia inammissibile poiché il riconoscimento di un vero e proprio “diritto soggettivo all’animale da compagnia” non giustifica l’istituzione di diritti d’azione inediti, non sorretti da una specifica previsione normativa. In sostanza, non è possibile giungere ad equiparare i figli minori agli animali domestici posto che solo i primi sono titolari di una posizione giuridica tutelata dall’ordinamento.
Ciò non significa, però, che il titolare del diritto soggettivo resti privo di protezione giuridica, ben potendo esercitare le azioni previste a tutela della proprietà, nonché attingere alle altre misure rimediali previste per l’esercizio di diritti su beni altrui o in comproprietà.

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