Il principio della solidarietà post coniugale, disatteso dalla sentenza della cassazione (11504/17 sul caso Grilli), è stato, invece, posto alla base della decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287 del luglio 2018.
Tutti ricordano il clamore sollevato dalla cassazione con la sentenza Grilli che, dopo lustri di incontrastato dominio del principio del “tenore di vita”, lo aveva abbandonato in favore del principio della cosiddetta autosufficienza economica.
La sentenza Grilli era stata salutata con grande giubilo dalla maggior parte degli ex, quasi sempre LUI, tenuti al pagamento di un assegno di divorzio in favore della ex, quasi sempre LEI. Ed, in effetti, il vetusto criterio del tenore di vita si era ridotto ad un mero simulacro, causa, il più delle volte, di ingiuste rendite di posizione.
La pacchia, però, non è durata molto.
Ed è anche giusto che sia così.
Per comporre il contrasto giurisprudenziale tra le sezioni semplici, in punto di presupposti per l’attribuzione dell’assegno di divorzio, è intervenuta la Corte Suprema a sezioni semplici che, applicando il principio in medio stat virtus, ha individuato una terza via tra quella che privilegiava il principio del tenore di vita e quella che favoriva il criterio dell’autosufficienza economica.
Secondo le Sezioni Unite (sentenza 18287/18) “il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del diritto (all’assegno di divorzio) ha natura composita, dovendo l’adeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata, degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà».
Pertanto, l’attribuzione dell’assegno non potrà fondarsi solo sulla disparità economica tra gli ex coniugi o solo sulle condizioni soggettive di chi lo richiede; secondo le sez. unite il principio di pari dignità tra i coniugi deve trovare la sua concreta applicazione, al momento della cessazione del vincolo, nella valorizzazione del contenuto prevalentemente perequativo-compensativo dell’assegno. Ciò sta a significare che il giudice, richiesto di attribuire un assegno di divorzio dovrà valutare:
– l’eventuale disparità tra le posizioni economiche complessive di entrambi i coniugi che abbia carattere di rilevanza.
– se tale disparità sia collegata (rigorosamente) “alle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di uno ruolo trainante endofamiliare”.
– se tale divario possa essere superato dal richiedente l’assegno, mediante il recupero o il consolidamento della propria attività professionale.
Quindi, per il riconoscimento dell’assegno di divorzio, a seguito dell’intervento delle sezioni unite, occorre che: vi sia uno squilibrio economico rilevante tra i coniugi, collegato alle scelte e ai sacrifici fatti in costanza di convivenza e che il divario non possa essere autonomamente colmato, nel futuro, dal richiedente.
I nuovi principi a cui i tribunali della famiglia dovranno attenersi sembrano essere più equilibrati rispetto a quelli applicati nel passato perché tengono conto, in sostanza, del contributo dato dal coniuge richiedente alla famiglia in termini di sacrifici e rinunce.
Avv. Luigi Cecchini.