I soggetti che si trovano in condizione di abituale infermità mentale, tale da renderli incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò si rende necessario al fine di assicurare loro adeguata protezione.
Salvo alcuni atti di ordinaria amministrazione, comunque di scarsa importanza, l’amministrazione del patrimonio e la rappresentanza legale dell’incapace è completamente demandata al tutore, che cura gli interessi dell’interdetto, in alcuni casi previa autorizzazione del giudice tutelare.
Assieme all’inabilitazione, tale strumento di tutela, deve oggi considerarsi residuale, a tutto vantaggio dell’amministrazione di sostegno.
Questo istituto legale, meno invasivo, protegge i soggetti privi di completa o parziale autonomia nell’espletamento delle loro funzioni di vita quotidiana.
L’amministratore di sostegno assiste e rappresenta il beneficiario che in ogni caso rimane legalmente capace.
L’amministratore deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, ed informalo tempestivamente degli atti da compiere.
A una “gestione sostitutiva” si surroga quindi un “sistema collaborativo”, più rispettoso dei principi costituzionali.
La scelta dell’uno o dell’altro strumento di tutela spetta al giudice che, nel ponderarne l’adeguatezza al caso concreto, deve compiere una valutazione di tipo qualitativo, non quantitativo.
Difatti, più che la gravità dell’infermità conta l’idoneità della misura di protezione alla soddisfazione del beneficiario, con minor sacrificio possibile della sua capacità di agire.