In generale, per ottenere un risarcimento nelle cause di responsabilità medica, il paziente deve dimostrare l’esistenza di un inadempimento del professionista e che il danno è conseguenza dell’errore medico.
La cassazione, con una recente sentenza, ha ritenuto necessaria la dimostrazione dell’astratta potenzialità dannosa dell’errore medico.
La sentenza della cassazione ha riguardato un caso, ahimè, purtroppo frequente nella praticata. Si sa che il parto è un momento che può rivelarsi pericoloso, sia per la madre che per il nascituro. Spesso si tratta di intervenire con celerità con il taglio cesareo, quando il medico ritiene che un attesa ulteriore, anche di pochi minuti, possa comportare seri rischi per la salute del nascituro. Sono momenti concitati in cui è necessario prendere una decisione affidata alla competenza del medico e al continuo monitoraggio strumentale.
Il contenzioso risolto dalla cassazione riguardava proprio una richiesta di risarcimento, avanzata dai genitori, verso il ginecologo ed una struttura ospedaliera, per la invalidità del figlio causata da ipossia cerebrale, conseguente, a loro detta, dal ritardo nella esecuzione del parto cesareo.
La Cassazione, ha respinto il ricorso dei genitori, affermando che “nelle cause di responsabilità professionale medica, il paziente non può limitarsi ad allegare un inadempimento, quale che esso sia, ma deve dedurre l’esistenza di una inadempienza, per così dire, vestita, astrattamente efficiente, cioè, alla produzione del danno“.
In sostanza: anche se vi fu ritardo nel praticare il taglio cesareo, questo non fu, di per sé, sufficiente a provocare il grave danno subito dal nascituro.