Assegno di divorzio e tenore di vita: una finzione?

Una recente sentenza di merito (Appello Aquila 15 giugno 2015) torna sul noto argomento della determinazione dell’assegno di divorzio per ribadire i principi in più occasioni enunciati dalla Suprema Corte e per i quali, l’assegno, va determinato in ragione del tenore di vita precedente, delle potenzialità economiche dei coniugi, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e al formazione del patrimonio. La corte di merito inserisce, tuttavia, anche un altro elemento, peraltro già noto alle Corti: la durata del matrimonio.

La decisione è sostanzialmente condivisibile anche se, a parere di chi scrive, il ricorso al criterio del “tenore di vita” precedente dovrebbe sempre di più assumere un ruolo sussidiario, dovendosi privilegiare altri criteri quali, ad esempio, il contributo dato alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio.

Il criterio del “tenore” non sempre è di facile interpretazione e spesso rappresenta una mera finzione.

 

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Infatti, dopo una separazione o un divorzio, non sarà mai possibile mantenere, per entrambi i coniugi o ex coniugi, un tenore anche solo analogo a quello vissuto in costanza di matrimonio. È noto a tutti che la rottura del matrimonio rappresenta, per entrambi i partner, un sostanziale peggioramento economico, anche per quello più forte economicamente (di solito il marito), in termini di maggiori costi per il proprio mantenimento, per l’acquisto o la locazione di una nuova casa ecc. ecc…

Parlare di mantenimento di un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio si rivela, quindi, un obbiettivo impossibile da raggiungere, se non a prezzo del sostanziale impoverimento della parte obbligata.

Si dovrà allora ricorrere a tale criterio con molto buon senso. Adottandolo come, se non sussidiario, almeno paritario rispetto agli altri. Cosa che, invece, non sempre avviene.