La recente sentenza della cassazione n. 11504/2017 ha suscitato molte speranze in coloro che sono tenuti a versare un assegno di separazione o di divorzio. Nel primo caso essi sperano che, chiesto il divorzio, l’assegno venga ridotto se non revocato, nel secondo auspicano, alla luce della nuova sentenza ed in presenza di un mutamento delle circostanze di fatto, di poter ottenere la riduzione o, meglio ancora, la cessazione dell’assegno.
La Corte di Appello di Genova (sentenza 12 ottobre 2017) getta molta acqua sul fuoco delle più o meno legittime aspettative degli obbligati.
Con una sentenza che, a parere di chi scrive, suscita non poche perplessità respinge l’appello di un ex marito, medico ospedaliero, e conferma l’assegno di 500 euro al mese in favore della ex moglie, insegnante di ruolo, oltre a quello di 1000,00 euro al mese in favore della figlia minorenne, che però non era stato oggetto di richiesta di revisione in sede di appello.
Premesso che l’ex marito ha un reddito disponibile di circa 4.700,00 euro al mese e che la ex moglie di 1800,00 circa, sempre al mese, che il primo ha avuto una donazione da parte della madre per l’acquisto della casa dove abita e che la seconda, oltre ad essere assegnataria della casa ex coniugale e nuda proprietaria della casa occupata dai genitori usufruttuari, perviene alla decisine di cui si è detto non ignorando, ovviamente, la recente pronuncia della cassazione ma interpretandola a modo suo.
In poche parole, secondo la corte genovese, occorre chiedersi cosa si intenda per autosufficienza economica ed afferma, vivaddio, che, tale concetto, è destinato a mutare a seconda dei vari momenti storici ed economici.
Quello che era possibile fare negli anni ’90 non è più possibile oggi, sostiene la corte di appello. Una posizione di titolare di un reddito stipendiale fisso e di una modesta disponibilità finanziaria in banca, che consentiva di vivere agiatamente vent’anni fa, oggi, dopo l’introduzione dell’euro e la perdita del potere di acquisto, non rappresenta più una situazione tranquillizzante.
La corte si addentra in una modesta quanto sommaria ed elementare critica economica per giungere a dire che una condotta di vita dignitosa da parte della ex moglie non può che presupporre il contributo, l’assegno cioè, da parte dell’ex marito.
Questa decisione, che ci auguriamo venga riformata in sede di legittimità, oltre ad essere contraddittoria per molti aspetti (è vero che gli investimenti in bot non rendono, più ma è anche vero che l’inflazione non è più al 20%, tanto per criticare un ragionamento della corte), giunge ad una conclusione molto, ma molto, penalizzante per l’ex coniuge obbligato il quale, a fronte di un reddito indubbiamente buone, si vede costretto a subire una considerevole riduzione a fronte di una posizione economica dell’ex coniuge di tutto rispetto. Tra l’altro, la corte, non ha valutato l’assegnazione della casa ex coniugale che, come noto, rappresenta un beneficio da considerare anche ai fini di dell’assegno divorzile.
Avv. Luigi Cecchini.