Una via crucis per le banche … o per i cittadini
Due recenti sentenze, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, hanno inferto un duro colpo al nostro sistema bancario.
Si tratta, in ordine cronologico, della sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 17 ottobre (in materia di anatocismo) e della sentenza n. 14889/2000 della prima sezione civile della Corte di Cassazione (in materia di interessi usurari sui mutui).
Con la prima decisione la Consulta, dichiarando incostituzionale per eccesso di delega l’art. 25 co.3 del decr. Ieg.vo 342/1999 (c.d. decreto “salvabanche”), ha aperto la strada al ricalcolo degli interessi passivi corrisposti dai clienti agli istituti di credito con il sistema della capitalizzazione trimestrale.
Sulla questione era intervenuta la sentenza della Cassazione n. 2374 del 16 marzo 1999 che, invertendo un precedente orientamento, aveva ritenuto illegittimo il c.d. anatocismo in quanto costituente un uso negoziale e non normativo (consuetudine). In seguito alla sentenza dei giudici di legittimit” era era intervenuto in aiuto del sistema bancario il governo con il decr. Ieg.vo 342, contenente modifiche al Testo Unico delle leggi bancarie.
L’esecutivo aveva stabilito (art. 25 co.3 del decreto) che le clausole relative alla produzione di interessi su gli interessi maturati (anatocismo) contenute nei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore (22.4.00) della delibera Cicr (Comitato per il credito ed il risparmio) dovevano ritenersi valide ed efficaci sino a tale data mentre, successivamente, dovevano essere adeguate, però a richiesta del cliente, al disposto della suddetta delibero nel punto in cui questa dettava nuove regole per il calcolo degli interessi.
La decisione della Consulta, eliminando dal nostro ordinamento per incostituzionalità l’art. 25 co.3 del decr. 342, ha riportato lo situazione nel punto in cui si trovava prima dell’intervento legislativo e quindi ha ridato pieno vigore al principio di diritto affermato dalla Cassazione con la pronunzia 2374 del 1999.
La sentenza della Corte Costituzionale è destinata a sollevare una vera e propria marea di iniziative giudiziarie dirette a ottenere il ricalcolo degli interessi passivi corrisposti dai clienti alle banche e calcolati con capitalizzazione trimestrale.
E’ proprio di questi giorni la notizia, apparsa sulla stampa, che il Tribunale di Lecce, accogliendo il ricorso di un cittadino, ha ingiunto alla banca di restituire all’ex cliente la differenza tra gli interessi pagati, calcolati secondo il principio suddetto, e quelli effettivamente ritenuti come dovuti.
Il decreto del Tribunale di Lecce si segnala, principalmente, per la “novit”&quo” costituita dal ricorso alla procedura di ingiunzione disciplinata dall’ art. 633 e seg. del codice di procedura civile ma, sul piano sostanziale, nulla sposta rispetto alla interpretazione data dalla nota sentenza della Cassazione n. 2374/1999, in conseguenza della quale il Governo corse ai ripari emanando il decreto poi censurato dalla Consulta.
Il ricorso ai decreto ingiuntivo costituisce per” un’ un’arma procedurale più incisiva a disposizione del cittadino. Infatti, la banca destinataria della ingiunzione farà – presumibilmente e come prevede l’art. 645 c.p.c. – opposizione entro 40 giorni dalla notifica ma il decreto ingiuntivo potrà essere dichiarato provvisoriamente esecutivo dal giudice dell’opposizione; con la conseguenza che il cittadino ricorrente potrà ottenere subito quanto ritiene essergli dovuto, senza attendere le lungaggini del processo civile.
La seconda sentenza (Cass. 14889/00), destinata ad incidere in modo rilevante Sul mercato della casa per gli evidenti risvolti in tema di mutui fondiari, ha suscitato un vespaio di polemiche ancora maggiore, se possibile, rispetto a quella della Corte Costituzionale, cos“ da richiedere l’intervento dell’esecutivo mediante l’emanazione del decreto legge 28.12.2000 volto a rimediare ai “guasti” prodotti dalla S.C. nel sistema bancario, scosso dalla non rosea prospettiva di dover restituire ai clienti una somma che, secondo alcuni, avrebbe potuto raggiungere secondo le stime pi” pes pessimistiche la ragguardevole cifra di 50 mila miliardi.
In sostanza la sentenza della Suprema Corte ha ritenuto, applicando la legge 108 del 1996 (Disposizioni in materia di usura) entrata in vigore il 9.3.1996, che un contratto di mutuo stipulato nel 1993, quindi prima dell’entrata in vigore della legge, dovesse rispettare i c.d. “tassi soglia” fissati periodicamente con decreto ministeriale ed oltre i quali scatta il cosiddetto tasso usurario. La S.C., rifacendosi alle precedenti sentenze 5286/00 e 1126/00, aveva affermato i seguenti principi:
– a) L’obbligazione degli interessi non si esaurisce in una sola prestazione, concretandosi in una serie di prestazioni successive;
– b) ai fini della qualificazione usuraria degli interessi il momento rilevante ” que quello della dazione e non quello della pattuizione (art. 644-ter c.p introdotto dalla L. 108/96).
In conseguenza di quanto affermato la pattuizioni di interessi a tasso divenuto usurario (per il superamento, appunto, del tasso – soglia stabilito con D M.) è nulla anche se compiuta in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge. La nullità della pattuizione riveste, come sostenuto dallo Corte, aspetti solo civilistici, atteso il principio di irretroattività della legge penale sancito dall’art. 25 co. 2 Cost., e deve riguardare un rapporto in atto ovvero, in altre parole, deve concernere prestazioni non ancora eseguite, in tutto o in parte. Verificandosi questi presupposti si ha, come conseguenza, non solo la sostituzione automatica della clausola nulla con quella legale ma, addirittura, la pura e semplice eliminazione della clausola nulla senza alcuna sua sostituzione.
La sentenza della Cassazione appare, a chi scrive, assolutamente ineccepibile e fuori luogo sembrano le censure che da più parti si sono levate contro i giudici della S.C.
In effetti, come ritenuto in alcuni autorevoli interventi, non si può fare colpa al Giudice della corretta applicazione di una legge sbagliata o quantomeno non accuratamente meditata. E’ notorio il vizio del nostro legislatore di legiferare sull’onda dell’emozione (la legislazione penale -sostanziale e processuale ne è un fulgido esempio). La legge sulla repressione dell’usura fu emanata a seguito di episodi di cronaca nera riguardanti gravi fotti criminosi che avevano coinvolto imprenditori costretti a soggiacere al gioco degli usurai fino alla loro personale rovina. Il principio che mosse il legislatore, ovviamente, era più che degno; tuttavia, nella fretta di accontentare chi giustamente reclamava un provvedimento incisivo, ci si dimenticò del sistema dei mutui bancari e non (a tasso fisso) regolati do contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della legge, senza prevedere, come doveva essere, una disposizione transitoria che regolasse questi casi.
La S.C. non ha fatto quindi che una corretta applicazione della legge. E’ il legislatore che ha sbagliato ed ora, con il D.L. 28. 12.00, rischia di sbagliare di nuovo.
L’esecutivo, ricorrendo alla decretazione d’urgenza sull’onda delle preoccupazioni sollevate in seguito alla sentenza della Cassazione, ha stravolto il principio di retroattività sancito dalla legge 108/ 96 stabilendo che il momento rilevante per considerare usurario o meno il tasso di interesse non è più quello del pagamento bens“ quello della pattuizione.
La nuova disciplina avrà, anzi tutto, un riflesso penale in quanto i tassi usurari corrisposti nel passato non assumeranno più una rilevanza penale (art. 2 c.p.). Dal punto di vista strettamente civilistico, invece, il D.L all’art. 3 introduce la nozione di tasso di sostituzione, prevedendo l’applicazione automatica dei tassi di rendimento dei btp (valore medio per il periodo gennaio 1976 – ottobre 2000, circa il 12%), a partire dalle rate in scadenza da gennaio 2001, con una maggiorazione di mezzo punto percentuale, ma solo per chi agisce nell’esercizio dell’impresa.
L’effetto immediato della “sanatoria” consiste nel rendere lecita l’attivit” pas passata (delle banche) che tale non era ai sensi della legge 108/96 (antiusura). Infatti le banche non saranno tenute a rimborsare i maggiori tassi pagati dai clienti fino al 31.12.1997.
Il decreto, che ha riscontrato il plauso del Governatore della Banca d’Italia e dell’ABI, ha scontentato e non poco le associazioni dei consumatori le quali promettono azioni giudiziarie a valanga, censurando di incostituzionalità la nuova disciplina. E’ facile immaginare, quindi, che il D.L. 28.12.00 non avrà vita facile; del resto lo stesso Presidente del Consiglio ha ammesso che il decreto potrà essere migliorato in sede di conversione, ad esempio con la diminuzione del tasso di sostituzione. In effetti i dubbi di legittimità (e di costituzionalità) della nuova normativa esistono, eccome.
Innanzi tutto il ricorso olio strumento del decreto legge appare discutibile. Le ragioni di urgenza risiedono, esclusivamente, nella salvaguardia del sistema bancario, peraltro minacciato solo dalla applicazione della legge ad opera dei Giudici (il che appare, di per sé, un controsenso). Vi è, poi, un chiaro trattamento di favore nei confronti dei mutui bancari rispetto a tutti gli altri che potrebbe far sospettare una violazione dell’art. 3 Cost. Infine, l’intervento legislativo è diretto, grazie alla sua retroattività, ad incidere sui rapporti pregressi regolati sino all’entrata in vigore del DL 28.12.00, in tutt’altro modo dalla L. 108/96, con conseguente “perdita” da parte del cittadino di diritti acquisti in base ad una legge dello Stato per la quale altri cittadini, pi” sol solerti, avevano ottenuto sentenze a loro favorevoli.
La materia di discussione, giuridica e politica, è come si vede molto vasta e nelle prossime settimane non mancheranno iniziative giudiziarie e parlamentari volte ad inficiare o modificare la decretazione d’urgenza in materia di tassi usurari. Del resto nella stessa maggioranza di governo le voci sono tutt’altro che concordi dopo l’astensione in sede di Consiglio dei Ministri dei Verdi e dei Comunisti Italiani. Non a caso, subito dopo l’adozione del provvedimento, il ministro Pecoraro Scanio ha subito proposto di limitare la soglia dei tassi di sostituzione al 10.5%, mentre dall’opposizione si sono levate critiche al decreto arrivando a proporre la restituzione ai cittadini di quanto corrisposto in più alle banche. Occorrerà, quindi, attendere i prossimi sviluppi ed i prossimi interventi della Magistratura chiamata ad applicare la nuova normativa salvabanche…la seconda nel giro di pochi anni.