Cass. civ. S.U., sent. 12 giugno 2019, n. 15750
Le Sezioni Unite sono state chiamate a stabilire se, in presenza di un minore straniero sul territorio italiano, l’art. 31, comma 3, T.U. Immigrazione, attribuisca o meno rilevanza, ai fini del diniego del rilascio dell’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia richiesta dal familiare, al suo comportamento incompatibile con la permanenza in Italia, assumendo rilevanza interessi di fondamentale rilievo per l’ordinamento quali la protezione dei diritti fondamentali del minore e la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale.
Il supremo Collegio, muovendo dal dato letterale dell’art. 31, comma 3, T.U. Immigrazione, ha affermato che la norma sulle attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia intende assicurare che la concessione del permesso di soggiorno non si risolva in un evento controproducente per il fanciullo o intollerabile per ragioni di ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato. Secondo i giudici, con tale norma, il legislatore ha inteso perseguire l’interesse del minore nel grado più elevato possibile, assicurandogli il pieno godimento del suo diritto fondamentale all’effettività della vita familiare e della relazione con i propri genitori, ma nel rispetto della basilare esigenza di protezione dalla criminalità del Paese che offre accoglienza.
Pertanto, la sussistenza di comportamenti del familiare stesso, incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale, deve essere valutata in concreto attraverso un esame complessivo della sua condotta, al fine di stabilire, all’esito di un attento bilanciamento, se le esigenze inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria.