La casa familiare, secondo la definizione data dalla Corte Costituzionale, è rappresentata da quel complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l’esistenza domestica della comunità familiare.
Tale definizione ci fa comprendere come, nel concetto di “casa”, sia compreso anche tutto ciò che l’arreda e correda.
In caso di fine della vita di coppia (sposata o non), l’assegnazione della casa familiare è subordinata alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente conviventi con i coniugi (anzi con la coppia genitoriale. In assenza di tale presupposto, sia la casa in comproprietà o appartenga a un solo coniuge, il giudice non potrà adottare, con la sentenza di separazione o divorzio, un provvedimento di assegnazione della casa coniugale.
Infatti, come ritenuto in più occasioni dalla Suprema Corte, la casa non può essere assegnata ad uno dei due coniugi in funzione sostitutiva o integrativa dell’assegno di separazione o divorzio.
L’assegnazione della casa segue quindi l’affidamento o la collocazione del figlio, minore o non economicamente autosufficiente.
La cassazione ha però precisato che il figlio deve essere della coppia.
In altre parole non sarà rilevante, ai fini dell’assegnazione, la circostanza che il coniuge che la richiede sia genitore convivente del figlio minore avuto da una persona diversa rispetto al coniuge o al convivente di fatto.
La disciplina dell’assegnazione della casa coniugale presuppone che i soggetti alla cui tutela è preordinata l’assegnazione siano figli di entrambi i coniugi ai quali sia riferibile la disponibilità, in via esclusiva o in comproprietà, della casa coniugale.
Avv. Luigi Cecchini.