Patti di trasferimento patrimoniale e separazione (o divorzio) davanti all’ufficiale di stato civile

La recente sentenza del TAR Lazio, che ha annullato la circolare ministeriale 6/2015, rischia di rendere vana la riforma introdotta dal DL 132/14.

In parole povere: secondo il DL 132/14 i coniugi possono recarsi davanti all’ufficiale dello stato civile e dire di volersi separare e questo senza la necessità della presenza di un avvocato. Ci sono però alcune limitazioni: non devono esserci figli minori, handicappati o, anche se maggiorenni, non economicamente autosufficienti ed inoltre non devono essere previsti patti di trasferimento patrimoniale.

Cosa significa quest’ultima previsione?

Il Ministero degli Interni, con una circolare del 2014, la n. 19, aveva chiarito che per patto di trasferimento patrimoniale doveva intendersi “qualsiasi clausola avente carattere dispositivo sul piano patrimoniale, come – ad esempio – l’uso della casa coniugale, l’assegno di mantenimento, ovvero qualunque altra utilità economica.

Ebbene, la rigidità di una simile previsione comportata che, in sede di comparizione personale dei coniugi davanti all’Ufficiale di stato civile, non si potesse fare altro che dichiarare la volontà di separarsi (o divorziarsi) senza aggiungere, a pena di irricevibilità, altre dichiarazioni. Questo, è ovvio, avrebbe limitato, se non vanificato, l’uso della riforma, atteso che nel 90% e più delle separazioni o dei divorzi vi sono anche clausole e patti che prevedono, ad esempio, l’assegnazione della casa o un assegno di separazione o divorzio.

 

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Il Ministero, conscio di questa mina vagante, corse ai ripari con la circolare 6 del 2015, prevedendo che per patto patrimoniale si debba intendere solo quello relativo a trasferimenti di diritti reali.

Si tratta, è ovvio, di una bella forzatura perché appare molto riduttivo circoscrivere il concetto di trasferimento patrimoniale solo ad un trasferimento di un diritto reale, in altri termini, e per semplificare, alla cessione in proprietà della casa.

Il DL 132/14, come al solito, affrettato e mal scritto, aveva fatto il pasticcio ed il governo, per non saper né leggere né scrivere, era corso ai ripari con una “toppa”, cioè una interpretazione della norma che appariva un’evidente forzatura e che non poteva non essere sottoposta al vaglio dei giudici. E così è stato. L’AIAF impugnò la circolare del 2015 davanti al TAR Lazio che, con la sentenza 7813/16, le ha dato ragione.

La ratio della decisione è lineare e condivisibile: poiché la legge consente di andare in comune e di separarsi o di divorziare anche senza l’assistenza di un avvocato, prevedere che le parti possano pattuire anche clausole di carattere patrimoniale equivarrebbe a negare la tutela al coniuge più debole che verrebbe a subire, nella decisione di natura patrimoniale, l’influenza (e la pressione) di quello più forte.

Cosa accadrà adesso? Nell’attesa della decisione di appello, ritornerà a vivere la circolare del 2014 e quindi nessun trasferimento patrimoniale che non sia attinente a beni immobile, potrà essere fatto avanti all’ufficiale di Stato civile, quindi non potrà neppure essere previsto l’assegno di separazione o di divorzio e neppure l’assegnazione della casa coniugale.