Se la moglie dopo la separazione riceve dei beni in eredità, il giudice deve tenerne conto a fini della determinazione dell’assegno familiare (Cass.civ. sez.VI, ord.n. 2542/2014).
L’assegno di mantenimento è disciplinato dall’art. 156 c.c., dove ai commi 1 e 2 viene sancito che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a carico del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri; l’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato“.
Giusto evidenziarne i presupposti: la non addebitabilità della separazione per il beneficiario, la sussistenza di una disparità economica fra i coniugi, e la mancanza di adeguati redditi propri.
Quest’ultimo concetto deve intendersi in senso ampio, facendovi confluire utilità diverse dal denaro, quali beni immobili posseduti (valore commerciale e potenzialità locative), crediti esigibili, titoli di credito e partecipazioni societarie, risparmi investiti o produttivi, disponibilità della casa coniugale, titolarità di aziende.
La disparità deve essere vagliata accertando il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio e la sua capacità di conservazione da parte del beneficiario indipendentemente dall’assegno, specie se affidatario dei figli. In caso negativo, il giudice deve procedere ad una valutazione comparativa delle rispettive sostanze economiche all’atto della separazione fra i coniugi.
L’ammontare dell’assegno
Sull’ammontare dell’assegno pesano poi tutta una serie di “circostanze”, elementi fattuali che sebbene non propriamente reddituali hanno comunque la capacità di influire sul reddito di una delle parti, in primis la concreta capacità di svolgere un impiego retribuito.
Proprio in virtù delle mutevoli variabili che influiscono sulla sua corresponsione e quantificazione, l’ultimo comma dell’art.156 c.c. prevede la possibilità di una modifica o revoca dell’assegno di mantenimento.
Ciò può essere richiesto, ad esempio, per un sopravvenuto peggioramento delle condizioni economiche dell’onerato o, di converso, per un sensibile miglioramento di quelle del beneficiario.
In linea di massima, quanto detto vale anche per l’assegno divorzile, che segue alla sentenza di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Ma se il mutamento economico si concretizza in un periodo successivo alla vigenza del vincolo di coniugo?
Nell’ordinanza in commento, la Cassazione ha avuto nuovamente modo di precisare la rilevanza di siffatte variazioni per la somministrazione dell’assegno, anche se successive alla separazione o al divorzio.
Nel giudizio di merito era stata disposta la revoca dell’assegno divorzile per la beneficiaria, stante la percezione di una cospicua eredità dopo la separazione dal marito.
Ricorrendo in sede di legittimità, la donna contestava l’assunto, lamentando fra l’altro di aver depauperato metà delle sostanze ereditate per potersi mantenere dopo la separazione, a causa del rifiuto dell’ex coniuge di corrispondergli l’assegno imposto in sede giudiziaria.
Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte ha precisato che “i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione, ancorché non incidenti sulla valutazione del tenore di vita matrimoniale perché intervenuta dopo la cessazione della convivenza, possono tuttavia essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge onerato (e quindi anche ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge beneficiario)”.