La partoriente (nonché il marito, o eventuali altri figli) non informati di malformazioni o handicap del feto, possono agire nei confronti del ginecologo che ha seguito l’intera gravidanza, per omessa informazione, nonché per il danno biologico del figlio (portatore di handicap) venuto alla luce?
È facile comprendere come tali controversie investano problematiche di natura etica e morale di non poco conto.
Circa la risarcibilità di un danno “proprio” della madre, nessuna discussione: il contatto tra paziente e medico fa sorgere tutta una serie di obblighi informativi a carico di quest’ultimo. Pertanto, l’omessa informazione, può dar luogo a responsabilità del medico – per non aver consentito la libertà di scelta della paziente, pur nei limiti in cui la l. 194/78 consente l’interruzione di gravidanza. Lo stesso per il marito della partoriente (“protetto” anch’egli dal contratto, essendo tutelato anche il suo interesse al nascituro).
Circa il risarcimento in proprio al figlio venuto alla luce, la questione è molto dibattuta.
La giurisprudenza ha da tempo escluso la figura del c.d. “diritto a non nascere se non sano”, ben diverso dal “diritto a nascere sano”, riconosciuto ai sensi dell’art. 32 Cost. Lo ha sostenuto, ad esempio, la nota sentenza della Cassazione civile n. 14488/04, secondo cui la tutela della salute del concepito non si può spingere fino all’interruzione della gravidanza, se non nei casi indicati dalla l. 194/78, cioè quando la prosecuzione della gestazione può comportare per la madre, “anche in previsione di anomalie o malformazioni del concepito” un pericolo per la propria salute fisica, psichica o per la propria vita. Senza contare che tale diritto sarebbe insostenibile, sotto il profilo logico: un soggetto (concepito) avrebbe riconosciuto un diritto che però non potrebbe mai esercitare, se non in caso di sua violazione (e quindi di nascita).
Più recentemente, tuttavia, la Cassazione ha sostenuto la configurabilità di un diritto al risarcimento del concepito, una volta venuto alla luce, esercitabile dagli stessi genitori in sua rappresentanza. La violazione dell’obbligo di informazione (relativo al solo rapporto partoriente-sanitari) lede anche l’interesse del concepito a nascere e crescere in un “contesto informato”. Così. l’importante Cass. sez. VI 16754/12: secondo cui “la domanda risarcitoria avanzata personalmente dal bambino malformato trova il suo fondamento negli art. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costituzione.” Viene in rilievo non tanto la “malformazione in sé”, quanto “lo stato funzionale di infermità”: l’omissione del medico viola l’art. 32 della Costituzione, cioè il diritto alla “salute non soltanto nella sua dimensione statica di assenza di malattia, ma come condizione dinamico/funzionale di benessere psicofisico”.
In conclusione, il figlio ha diritto al risarcimento, laddove “l’arrivo del minore in una dimensione familiare “alterata” […] impedisce o rende più ardua la concreta e costante attuazione dei diritti-doveri dei genitori sanciti dal dettato costituzionale, che tutela la vita familiare nel suo libero e sereno svolgimento sotto il profilo dell’istruzione, educazione, mantenimento dei figli.”