Una recente pronuncia della Corte d’Appello di Firenze, sezione minorenni, ha riconosciuto la possibilità di adottare il figlio minore del convivente estendendo così la portata dell’articolo 44 della legge n. 184/1983.
Tale articolo prevede espressamente la possibilità, per il coniuge, di adottare il figlio del proprio coniuge, ma niente dice riguardo all’ipotesi di convivenza cd. more uxorio.
Larga parte della giurisprudenza riteneva necessaria la presenza di un legame matrimoniale per rendere ammissibile l’adozione e, più volte, i giudici hanno respinto richieste di adozioni di soggetti che, seppur idonei in tutto e per tutto a rivestire la qualità di genitore del minore, non erano però “coniugi”. La ratio sottesa a una tale linea di pensiero era senz’altro quella della stabilità di un vincolo come quello matrimoniale, stabilità però che, specie in tempi moderni, risulta essere sempre più un’utopia.
Il matrimonio infatti è soggetto alla possibilità di scioglimento tanto quanto una normale convivenza more uxorio, i divorzi e le separazioni sono in continua crescita e in ogni caso non possono rilevare come indici di capacità o incapacità genitoriale.
Numerose sono inoltre le sentenze in cui la Suprema Corte ha ritenuto possibile l’adozione anche da parte del coniuge divorziato in quanto, l’interesse del minore può tranquillamente essere garantito a prescindere dall’esistenza o meno di un vincolo giuridico tra i genitori.
Come detto la Corte d’Appello di Firenze ha fatto proprio questi ultimi principi estendendo la possibilità di adozione anche al convivente del genitore.
Una volta accertata comunque la stabilità della coppia e accertato, tramite anche l’audizione del minore (come disciplinata dall’articolo 45 della citata legge), l’interesse preminente del minore stesso, essa ha ritenuto che non potesse essere negato il diritto all’adozione al convivente del genitore.
La Corte ritiene che la norma in esame, ossia l’articolo 44 lettera B e D, preveda si una “corsia facilitata” per il coniuge del genitore naturale del minore ma non intende in alcun modo negare la possibilità al convivente di richiedere e soprattutto vedersi concedere, l’adozione del minore stesso.
Il presupposto da cui muove la legge è, come detto, l’idoneità del coniuge all’adozione; quello che si è ritenuto necessario fare è stato svincolare il presupposto del matrimonio da quello dell’idoneità genitoriale, e questo proprio perché ciò che senza dubbio è fondamentale tutelare è l’inserimento del minore in un contesto idoneo al suo sviluppo il che non può certamente essere collegato ad una scelta personale operata da due soggetti (sent. Corte di Cassazione n. 21651/2011).
Si ritiene quindi che non sia possibile né corretto far subire ad un soggetto terzo (il minore) le conseguenze di una scelta (quella di contrarre o meno matrimonio) che appartiene alla sfera personale di altri soggetti.
Sarà semmai, l’inidoneità genitoriale a dover essere dimostrata “sul campo” attraverso gli strumenti che l’ordinamento concede per l’individuazione dell’interesse del minore.
Non si può dunque imporre, al minore, un trattamento diverso, né tanto meno un trattamento che possa pregiudicare i diritti inviolabili garantiti ad esso dalla Carta Costituzionale.
Ed è proprio questo il principio che sta alla base di questa innovativa, quanto rivoluzionaria sentenza; garantire i diritti inviolabili del minore a prescindere da quale sia il rapporto che lega il genitore naturale al c.d. “adottante”.
L’importante pronuncia della Corte d’Appello di Firenze, sezione minorenni, si muove sulla stessa linea interpretativa utilizzata dal Tribunale dei Minori di Milano che già nel 2007 aveva deliberato sostenendo il fatto che, l’articolo 44 della legge n.184 del 1983, prevedendo una presunzione di idoneità dell’adottante verso il figlio del coniuge, non lasciava spazio a presunzioni di inidoneità verso il figlio del convivente.
In sostanza quindi l’articolo 44 della legge n. 184/1983 anche se dedicato all’ipotesi del coniuge non esclude in alcun modo la possibilità del convivente di adottare il minore ove questo ovviamente corrisponda all’interesse dello stesso, che è il solo bene che la norma intende tutelare.